A cosa pensi, pilota?
I latini crearono la parola “volare”, guardando gli uccelli che si muovevano in aria velocemente.
Poi, da lì, andò ad indicare tutto ciò che vagava nel cielo, come le frecce, gli oggetti lanciati con rabbia e infine gli aerei, quando furono inventati.
Cose che si muovono rapidamente.
Caratteristica che accompagna anche tutto ciò che metaforicamente viene accostato a questo verbo: vola il tempo, passa veloce, volano le moto e le automobili quando sfrecciano per strada e volano parole grosse quando arrivano all’improvviso a travolgere una discussione.
Eppure, prima di quello scatto, prima di quel movimento sicuro, c’è la fragilità di un piccolo che deve spiccare il suo primo salto, ci sono le mani aggrappate al sedile dei passeggeri in tensione, c’è il silenzio piatto che precede il rombo del motore e il tremolio delle labbra che stanno per urlare.
E in quel momento sei solo.
Puoi avere mille occhi intorno, ma sei tu, da solo, che fai il primo passo.
Come te, pilota di un piccolo aeroplano.
Ti guardo mentre infili le cuffie sulle orecchie, in quel preciso istante che fonde la voglia di isolarsi con ciò che ti tiene legato al mondo.
Sei solo.
In quel frammento.
A cosa pensi, pilota, quando monti su, pronto a partire?
Rifletti sui comandi? Sul decollo? Su ciò che osserverai?
Hai paura di staccare o non vedi l’ora di salire?
C’è un altro verbo che usiamo ormai solo in un contesto preciso, ma che ha un significato più ampio: “convolare”.
Letteralmente, volare insieme.
Nell’accezione di sposarsi come due splendide colombe, “convolare a nozze”, è romantico, ma non esaustivo.
Si può convolare a un ricevimento, tutti insieme, o dietro a un cantante dopo un concerto.
Ma è negli occhi di chi è lì a guardarti andare via che leggo questo termine speciale.
Un ragazzo che guida su e giù un piccolo trattore per farti scivolare in acqua, l’anziano sulla panchina che ti indica col suo bastone, il bambino che cade eccitato guardando il cielo, i cigni che si spostano e le anatre in confusione.
Le onde, la luce, i pensieri.
Volano tutti con te.
Convolano.
E tu lo sai.
A cosa pensi, pilota, quando ti accorgi di non essere solo?
Ti senti privato di ciò che hai? Felice? Onorato?
O fingi di non vedere e resti solo con te?
Poi aleggi.
Si, perché dopo la grinta del volare, la bellezza del convolare, arriva la leggerezza dell’”aleggiare”.
Oggi usiamo questo termine con accezioni diverse, ma l’origine è racchiusa proprio nelle ali e nel loro appoggiarsi all’aria senza imporsi con forza, né volteggiare tentando acrobazie.
Avanzi con delicatezza.
Sospiri.
E lo stesso fanno gli altri che sono lì con te.
Niente più tensione.
Il trattore spegne il motore, l’anziano molla la presa stretta del suo bastone, il bambino resta a terra appoggiato al muro, i cigni dondolano piano e le anatre abbassano la voce.
E aleggia un’atmosfera magica, aleggiano i pensieri, aleggiano i sogni.
A cosa pensi, pilota, mentre galleggi lassù?
Ti allontani per scappare dal mondo o per vederlo meglio?
Li vedi i desideri che salgono piano?
E le domande lasciate andare?
Infine, torni.
E te ne vai.
Senza dire niente.
Piano, ma troppo veloce.
A cosa pensi, pilota, mentre scendi quella scaletta?
Sei felice di ciò che è stato o triste perché è finito?
La panchina è vuota, il muro libero, l’acqua pulita.
Nessuno dice niente.
A cosa pensi, pilota?
Nessuno te lo chiede mai.
Ed è così che continua la magia.
Chiara Cuminatto