DISINFORMARSI INFORMANDOSI. L’ESPERIENZA NON MENTE.

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Sono cadute le torri gemelle. Ho tredici anni e guardo l’accaduto con inconsapevole paura. Non mi rendo conto di cosa sia successo e inizio a sentir parlare di terrorismo, di qualcosa che uccide senza avere il volto riconoscibile della guerra né quello isolato di un assassino.
Inizio a prendere consapevolezza di tutto ciò, lentamente, e ci riesco, finché non mi trovo di fronte a un video, a una serie di immagini e parole che spiazzano, di nuovo, forse di più.
Le teorie del complotto prendono forma una dopo l’altra e smontano piano piano quella verità lineare a cui avevo creduto serenamente leggendo i giornali. Vengono analizzate le immagini proposte dalla CNN e l’incongruenza dei colori e dei tagli di montaggio, poi gli sbuffi di fumo sotto le torri e l’impossibilità di ottenere un crollo così col solo impatto di un aereo; la mancanza delle scatole nere e l’imminenza tempestiva dei camion a rimuovere le macerie, come a dover portar via prove scomode. E ancora l’assenza di nomi per i passeggeri del secondo e terzo aereo e la precisione con cui si sarebbero schiantati che desta troppi sospetti per essere stati pilotati da terroristi non addestrati o comunque da qualcuno non aiutato dall’esterno nella rotta.

Così è nato il dubbio ed è morta la fiducia.

Il dubbio è qualcosa che però, come la paura, non deve bloccare, ma stimolare e donare consapevolezza.
Ho continuato a guardare il telegiornale, a leggere le notizie, ad ascoltare i discorsi impostati, ma con un approccio diverso.
Gli avvenimenti si sono succeduti uno dopo l’altro: questioni di stato, eventi locali, opinioni diverse e montature generali. Ho ragionato a lungo, nel corso degli anni, su tutto ciò e ho capito che più andavo a fondo sulla questione, più m’informavo e provavo a capire, meno trovavo i mezzi per arrivare a una verità certa, a qualcosa di cui fidarmi a pieno.

Il 7 gennaio 2015, un commando fa irruzione nei locali parigini di Charlie Hebdo e uccide dodici persone. Si parla di terrorismo, di nuovo. Ma per molti si dovrebbe parlare anche in questo caso di False Flag, o Fausse Bannière alla francese, visto che questa volta la Falsa Bandiera è toccata a Parigi.
Hanno fatto cadere la colpa su un gruppo di uomini mandati dall’ISIS, ma emergono tempestivamente le incongruenze: gli uomini troppo addestrati, una patente casualmente abbandonata sul sedile dell’auto degli attentatori che viene lasciata andare dalla polizia appostata. La morte di giornalisti atei che non sembrano l’obiettivo più sensato per una rivendicazione di Maometto. L’uccisione in uno scontro a fuoco dei colpevoli, come succede di solito in questi casi, quasi a nascondere prove e testimoni.
È solo una delle numerosissime notizie che non hanno coerenza nel mostrarsi al mondo, ma leggendo questa in particolare mi è tornato alla mente quell’11 settembre e mi sono resa conto che sono passati già più di dieci anni e non è cambiato niente.

Arthur Ponsonby scrisse nel 1928, “Quando la guerra è dichiarata, la verità è la prima vittima”.
In molti sostennero che con l’avvento di internet sarebbe stato molto più difficile mascherare la verità. Forse questo è successo: con i video improvvisati, gli investigatori privati, i blog, le notizie in tempo reale, è più facile parlare, dichiarare e mostrare cose che altri non vorrebbero svelare, ma allo stesso tempo si creano opinioni soggettive e spesso infondate che emergono come realtà affermate e concrete. Non credo sia diminuito lo sforzo per capire cosa accade davvero, credo sia solo cambiato il luogo e il modo di impiegare le energie per avere una certezza.
Continuo a cercare di capire cosa succeda davvero e, contemporaneamente, se sia importante cercare di capirlo.

Roberto Gervaso diceva: “Ci sono dubbi che vanno risolti, altri che non possono essere risolti, altri ancora che è meglio non risolvere”.
Non ho i mezzi per sapere la verità di tante cose nel mondo. Molti di noi non li hanno. Però in questo mondo ci siamo anche noi, il mondo siamo anche noi, ognuno di noi lo è.
È importante andare a fondo, non fermarsi alle apparenze, ma nella consapevolezza che non risolverò molti dubbi, credo fermamente che sia necessario essere giusti, determinati e trasparenti nei fatti che accadono a e intorno a noi.
Gli episodi di ogni giorno sono tanti, ma le tematiche sono sempre le stesse che tornano continuamente nelle piccole città, nelle grandi nazioni e nel mondo intero.

Credo che la soluzione migliore sia quella di alzare la testa e guardarsi intorno: chi legge un articolo dopo l’altro fa emergere un’idea contorta, ma chi parla con le persone, vive i problemi in prima persona, mette le mani in pasta per cambiare le cose, può basarsi sull’esperienza e l’esperienza, a differenza delle parole, non si può contraddire.

Chiara Cuminatto

Pubblicato da chiaracuminatto

Mi chiamo Chiara Cuminatto e sono nata il 03/04/1989. Vivo a Campi Bisenzio a tratti perché viaggio molto e la mia vita imprevedibile non lascia spazio alla monotonia. Mi sono laureata in Lettere Moderne all'Università di Firenze nel 2011 e specializzata in Scienze Linguistiche all'Università di Bologna nell'Ottobre 2013. Ho cambiato diversi lavori a causa delle poche possibilità avute in ambito umanistico e linguistico, ma non smetto di credere nella bellezza delle sfide e nel potere di chi vuole qualcosa. Faccio parte di un gruppo missionario da ormai molti anni e la collaborazione tra le persone, la ricchezza delle diversità e l'aiuto fraterno fanno parte di me come stile di vita radicato a fondo. --------------------------------------------------------------------------------------------------- My name is Chiara Cuminatto and I was born on 04.03.1989. I live in Campi Bisenzio at times because I travel a lot and my unpredictable life leaves no room for monotony. I graduated in Modern Literature at the University of Florence in 2011 and specialized in Linguistic Sciences at the University of Bologna in October 2013. I changed several jobs because of the few possibilities had in the humanities and linguistics, but I do not stop believing in Beauty of the challenges and the power of those who want something. I am part of a missionary group for many years now and collaboration between people, the richness of diversity and the fraternal help are part of me as a lifestyle rooted deeply.

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