“Tabù” viene dal polinesiano “tàpu” che significa sia sacro che proibito.
La parola Tabù fu registrata la prima volta dal capitano e esploratore James Cook nel 1777 dopo averla sentita dagli indigeni delle isole Tonga durante una spedizione.
Letteralmente vuol dire “marchiato con un segno”, (da “ta” che significa “marcare” e “pu” che è un rafforzativo).
Cook nota che viene usata per indicare sia il sacro che l’impuro.
Sono tabù i sacerdoti o i capi villaggio che non possono essere toccati da tutti; sono tabù i luoghi dedicati alle cerimonie che non possono essere visitati sempre; e sono tabù gli oggetti consacrati.
Ma sono tabù anche i cadaveri, lo sperma e il sangue mestruale; e sono tabù le persone che toccano una di queste impurità e vengono, di conseguenza, contaminate.
Non esistono dunque tabù oggettivi: ma sono una cerimonia di investitura o un rito religioso a rendere tabù un oggetto o una persona o un’area. E questa condizione non è perenne ma revocabile, può cambiare.
Tabù è un termine che racchiude il rispetto per qualcosa che merita attenzione.
Questo significato di “segnato”, “degno di attenzione”, cambia però nel momento in cui il termine inizia ad essere utilizzato oltreoceano: in inglese diventa “taboo” e viene generalizzata a una vaga idea di azioni o elementi proibiti.
E come lì, nel resto del mondo.
Nascono tabù legati all’alimentazione, al corpo, al linguaggio, alla vita quotidiana: cibi da evitare, organi da non mostrare, parole da non dire, azioni da non compiere.
Ogni disciplina ne dà una definizione con sfumature diverse.
Alcune teorie sostengono che i tabù nascono da elementi strani o difficili da classificare: gli escrementi, per esempio, oppure i maiali e i cammelli per gli ebrei: questi potevano mangiare animali che fossero sia ruminanti sia dotati di uno zoccolo spaccato e i due esempi sopracitati non possiedono entrambe le caratteristiche, ma non erano neanche completamente estranei a questa classificazione, quindi risultava difficile sapere cosa fare e venivano definiti tabù.
Altri studiosi sottolineano l’importanza della dimensione emotiva e di ciò che provi rispetto a qualcosa: questo tabuizza o meno un elemento.
Altri ancora forniscono una spiegazione materialistica: se gli Indiani considerano sacre le vacche e rifiutano le loro carni era perché in definitiva risultava più conveniente conservare gli animali in vita, per la forza lavoro e gli escrementi che producono.
Gli eschimesi usano un’espressione simile a tabù traducibile con “divieto di fare certe cose”. Evitano alcune azioni per mantenere un equilibrio tra umani e natura: se l’equilibrio si sballa, possono esserci conseguenze negative.
L’esistenza degli eschimesi dipende profondamente dai giochi della natura e basta una bufera inaspettata, un animale particolarmente feroce o una caccia andata male per mettere a rischio la loro vita.
Quando un uomo eschimese porta a casa una foca da scuoiare, per esempio, la donna mette dell’acqua davanti alla carcassa dell’animale perché la beva: questo per placare lo spirito sicuramente poco contento.
I tabù possono nascere dunque da fattori diversi legati allo status di un individuo, alle caratteristiche di un elemento, alle categorie in cui inseriamo ciò che ci circonda e possono essere perenni o temporanei, ma, comunque sia, ognuno di questi può diventare, all’improvviso, l’opposto di ciò che rappresenta.
Un posto sacro in cui non è possibile entrare, può rivelarsi l’unica zona dove stare durante una funzione religiosa particolare. Oggetti che non dovrebbero essere normalmente toccati diventano terapeutici in momenti precisi.
E così per il sangue mestruale, tabù di moltissime culture nel mondo.
Plinio il Vecchio, in un suo trattato, ne parla come di una sostanza pericolosa che può deteriorare gli alimenti o inaridire i raccolti. La donna stessa, portando questa sostanza con sé, diventa contaminante per chi vi sta a contatto e deve essere isolata.
In alcune isole polinesiane venivano infatti segregate per tre giorni, in altre, invece, era solo il sangue ad essere tabuizzato e a non dover essere toccato, in altre ancora erano gli assorbenti che dovevano essere nascosti in un luogo particolare dalla donna e, se l’uomo ne vedeva uno usato, per quest’ultima era una vergogna enorme.
Oggi sappiamo che malattie come il tumore o la tubercolosi interrompono il ciclo mestruale, ma in epoca vittoriana si pensava che fosse il sangue stesso a rendere una donna malata: se non usciva come era solito fare, ristagnava nel corpo fino a far ammalare o morire.
In molti paesi, tutt’ora, le donne durante le mestruazioni non possono entrare nei templi o toccare oggetti sacri o toccare le armi dei cacciatori, per esempio in Nord America.
Tutto questo, però, aveva anche un riscontro positivo.
Il sangue mestruale veniva spesso considerato addirittura sacro fin tanto che non veniva espulso dal corpo: è ciò che dona la vita a un bambino e non può che essere importante.
Le proprietà velenose del sangue potevano avere, in contesti precisi, un beneficio grande per la comunità: moltissimi anni fa le donne venivano portate nei campi per camminare così che potessero uccidere i parassiti del terreno, dannosi per l’agricoltura, grazie ai loro poteri.
Lo stesso accadeva per la saliva, considerata sia negativamente, sia positivamente: era una sostanza da evitare, ma anche curativa e magica. Un esempio è nell’Antico Testamento quando Gesù tocca prima gli occhi di un cieco, poi la bocca di un sordomuto con le dita bagnate di saliva e li guarisce.
Oggigiorno i tabù nelle varie culture persistono in forme diverse: alcuni vengono chiamati superstizioni, altri sono divieti e altri ancora motivo di scandalo.
Possono essere legati all’essere umano, agli animali, alle parole, agli oggetti del mondo.
La morte, le droghe, la bisessualità, le bestemmie, il camminare sotto una scala.
Il mangiare un maiale, una mucca, un coniglio.
Il pianto, la nudità.
Il divieto di pronunciare il nome di un ghiacciaio per gli Inuit in Groenlandia, di pronunciare il nome di un defunto per gli aborigeni australiani o di pronunciare il nome di Jahveh per i Giudei.
Usiamo eufemismi per aggirare un termine e le scaramanzie per difenderci da un evento.
Litighiamo per i tabù, ci offendiamo, non ci capiamo, ci impauriamo, lottiamo, scappiamo, ignoriamo.
Facciamo tanto con questi tabù, sempre e ovunque.
Anche se non ne parliamo.
Dovremmo tornare all’origine di questa parola.
Dovremmo tornare a quel “tapu” che indicava qualcosa di “marcato da un segno” perché degno di attenzione.
Dovremmo iniziare a dargli il senso che devono avere, il significato del nome che hanno, l’interesse per cui sono stati evidenziati da qualcuno e affrontarli con consapevolezza.
Per far sì che i tabù non restino più dei soli…tabù.