Mia figlia frequenta il primo anno di università.
Lingue.
Di solito usciva di casa la mattina presto e tornava la sera tardi.
Lezioni, caffè, studio, mensa, corsi…
Me la immaginavo felice, piena di entusiasmo e voglia di imparare.
Ha sempre sognato di fare un percorso legato al mondo, al turismo, alla comunicazione.
Con il lockdown si è ritrovata chiusa in casa.
E io accanto a lei.
Le lezioni sono continuate on line e tra le pause, il pranzo, i pomeriggi sui libri, l’ho potuta osservare.
Non era felice.
Non era entusiasta.
Non stava bene.
Non aveva niente di ciò che immaginavo.
Le ho parlato.
E poi ancora.
E il suo silenzio si è trasformato in sfogo.
Aveva scelto tedesco e cinese come lingue.
Sono utili, importanti, diffuse.
Con quelle avrebbe avuto ogni possibilità lavorativa richiesta.
Ma giorno dopo giorno, dall’inizio dei corsi, le erano piaciute sempre meno.
O forse non le erano piaciute mai.
Si vergognava, però, dopo mesi, a cambiare il piano di studi.
Si vergognava a sentirsi sconfitta.
A non aver soddisfatto le aspettative di genitori, amici, mondo del lavoro.
Ogni giorno era più giù, più demotivata, più triste.
Con il Covid ho potuto vedere mia figlia e rendermi conto di ciò che stesse passando.
Ciò che era riuscita a nascondere finora.
E l’ho potuta aiutare.
Adesso studia russo e spagnolo e sorride come non mai.