Fare il diavolo a 4 è un modo di dire che si usa per descrivere un comportamento confusionario, movimentato, chiassoso.
È un’espressione che nasce probabilmente dal teatro medievale: il diavolo era un personaggio frequente negli spettacoli del tempo.
Questa creatura maligna, in grado di mutare aspetto continuamente, obbligava a cambi d’abito e di trucco veloci per poter mettere in scena le varie sembianze. A quel tempo non c’erano né gli strumenti adatti né uno staff come quelli attuali in grado di gestire tutte queste variazioni, così iniziarono ad usare 4 attori diversi, ognuno truccato e sistemato appositamente per la parte che doveva interpretare.
Tutto questo semplificò forse gli “effetti speciali”, ma non limitò la confusione: gestire quattro attori diversi dietro le quinte che recitavano lo stesso personaggio, stare attenti alle battute, alle entrate sul palco, al non farsi vedere contemporaneamente non era decisamente facile.
Dietro le quinte, si creava un disordine enorme, per questo, con il tempo, l’espressione “fare il diavolo a 4 (attori)” è diventata sinonimo di situazioni caotiche e di difficile gestione.
Analizzando singolarmente le parole di questo detto, troviamo inzialmente
“Diavolo” che viene dal latino tardo diabŏlus = dividere, calunniatore e dal greco -διαβάλλω diabàllo = dia (attraverso) e ballo (mettere). Propriamente separare, creare fratture.
Prima di rappresentare ciò che l’iconografia tradizionale ci mostra, “diavolo” indicava tutto ciò che avesse come effetto la separazione e l’allontanamento tra gli uomini.
Col diffondersi del cristianesimo, con questa parola si iniziò ad indicare il demonio che era colui che tentava, appunto, di separare Dio dagli uomini, sue creature.
Come seconda parola troviamo “Quattro” cf. latino quattuor, greco τέσσαρες, sanscrito catvāraḥ, gotico fidwor.
Nel Medioevo, questo numero era considerato perno e risolutore e, fin dall’antichità, era definito come il numero della terra: quattro sono i punti cardinali, le stagioni, le fasi lunari, i venti principali, le proporzioni dell’uomo e della perfezione morale.
E quattro sono anche i lati del quadrato, a cui proprio la terra veniva paragonata, in opposizione al triangolo del cielo, simbolo anche della Trinità.
Secondo varie culture questo numero è speciale e particolare: per i maya è perfetto, per i peruviani 4 sono le ere mitiche che avrebbero preceduto la creazione dell’uomo, ritmo intrinseco della terra, per altri popoli è la cifra che organizza il mondo, per altri ancora struttura la psiche racchiudendo il pensiero, il sentimento, l’intuizione e la sensazione.
Nella concezione generale rappresenta armonia, anche familiare: quattro componenti portano solidità e proporzione.
Nella Bibbia compare varie volte: prima tra i fiumi che racchiudono l’Eden (Pison, Ghicon, Tigri ed Eufrate), poi nei quattro bracci della croce e nelle quattro lettere incise sopra e, ancora, come 4 sono gli evangelisti (che diffondono il Verbo nel mondo), altrettanti sono i cavalieri dell’Apocalisse (che raccolgono il Verbo dal mondo).
L’induismo prevede quattro livelli di liberazione spirituale e la sfinge, in chiave esoterica, richiama quattro manifestazioni legate al volere, al sapere, all’osare e al tacere.
Insomma, da moltissimi punti di vista, questo numero esprime concretezza, solidità, unione, equilibrio.
Il quattro è un numero e il numero è un simbolo.
Il termine “simbolo” deriva dall’unione del prefisso σύμ- (sym-), “insieme” con il verbo greco βάλλω (ballo) “getto”, letteralmente significa quindi “mettere insieme”, unire, armonizzare;
è etimologicamente l’esatto opposto di διαβάλλω (diabàllo), diavolo.
In greco antico, il termine simbolo (σύμβολον) aveva il significato di “tessera di riconoscimento” o “tessera hospitalitas (ospitale)”: secondo l’usanza due individui, due famiglie o anche due città, quando facevano un accordo o un’alleanza, spezzavano una tessera, di solito di terracotta, e ne conservavano ognuno una delle due parti.
Il perfetto combaciare delle due parti della tessera provava l’esistenza dell’accordo.
Questo termine aveva inoltre il significato di segno, segnale, insegna, come ritroviamo anche nel latino “symbolum” e utilizziamo nell’italiano “simbolo”.
“Fare il diavolo a quattro” è un detto che probabilmente non ha riferimenti, nel suo significato di persona confusionaria, all’etimologia dei singoli termini che lo compongono, però una riflessione nasce ugualmente spontanea.
La confusione è un miscuglio di cose, una situazione dove tutto è mischiato insieme e il discernimento sembra impossibile.
Non è semplicemente qualcosa di poco lineare momentaneamente perché siamo distratti o abbiamo preso un colpo in testa, ma è qualcosa di molto più complesso e preciso: quando siamo in stato confusionale abbiamo un’impossibilità di organizzare la massa variegata di stimoli che riceviamo; se diciamo che in un locale c’era confusione, è perché l’insieme di musica alta, urla delle persone e spinte non ci permettono di capire niente, di dare un senso ai suoni e ai movimenti.
Credo che ognuno di noi, quando si sente confuso, agitato, disordinato dentro e fuori, abbia all’interno sia quel diavolo che divide, sia quel quattro che mette in ordine, quel simbolo che unisce.
Dobbiamo solo cercare di equilibrare questi elementi, come in ogni situazione.
Dobbiamo solo cercare di far entrare i quattro attori al momento giusto, con le proprie battute, senza che si sovrappongano malamente, mantenendo la calma, l’umiltà, la determinazione.
Dobbiamo solo cercare di vedere in quei quattro personaggi un segno stabilità, un motivo di sfida che porti a fare cose che in uno solo non potrebbero mai fare.
Dobbiamo solo cercare di trovare il senso ad una confusione ricca di elementi belli che, altrimenti, rimarrebbe solo una sterile messa in scena.